martedì 6 gennaio 2015

la linea d'ombra - il giovane joseph conrad visto dal vecchio


Adoro Conrad per due motivi: la sua capacità di sondare l’insondabile e la sua caparbietà nel rappresentare valori sistematicamente travolti dal mondo moderno, spesso vanificati dalla loro stessa aristocratica rigidezza. 
I suoi eroi sono destinati a dissolversi.
 Queste caratteristiche fanno di Conrad uno scrittore di genere quasi fantastico. La realtà vacilla continuamente. Rumori, odori e oscuri presagi permeano ogni realissimo cielo terso tropicale finemente descritto. Tutto nasconde una trama nerastra. 
 Conrad, in questo, assomiglia a Terrence Malick, il regista della natura, della meraviglia, della realtà esaltata da una fotografia perfetta, luminosa, magnifica. Ma mai del tutto serena. L'uomo turba la scena. In Malick la natura è il palcoscenico delle avventure umane, in Conrad è il mare.
Limitare Conrad ad uno scrittore di mare equivarrebbe a prendere Malick per un documentarista.





In una famosa lettera Conrad priva il suo racconto ‘La linea d’ombra’ di ogni significato soprannaturale, relegando il miracoloso al rango di superstizione. 
Possibile che non si sia mai accorto che il soprannaturale cercava di invadere i suoi racconti più degli altri elementi? 
In questo frangente, la Linea d'ombra, ha voluto mettere in chiaro il suo atteggiamento nei confronti del destino. Addio agli omen e agli spiriti: ne esce fuori una storia di maturazione, di responsabilità. Un romanzo di formazione. 

Il giovane - e indisponente - Conrad, primo ufficiale di coperta, si sbarca per puro capriccio. Lui stesso non sa capacitarsi della sua decisione nei confronti di un equipaggio che ama e lo ricambia, di una nave che conosce ormai meglio di un'amante. Sulla superficie sembra un capriccio autopunitivo.
Poi una serie di circostanze fortuite gli svelano che c'è bisogno di un capitano per un incarico di comando a Bangkok, e lo spingono ad accettare quella posizione in un momento in cui non avrebbe saputo cosa fare della sua vita. Forse per questo non riesce a dire di no. Non sa cosa vuole, ma allo stesso tempo non può rinunciare a un incarico prestigioso. Al primo incarico di comandante.

E’ quindi la fortuna, e non la ragione, a servire al giovane Conrad il suo primo incarico di comando. 
L'incarico si rivela difficile: c’è un primo ufficiale che sembra impazzito per non essere stato nominato comandante, un equipaggio decimato da febbri malariche, un capitano forse suicida che ha maledetto l’intero equipaggio dopo aver tentato di distruggere l’imbarcazione su una rotta impossibile.
A proposito: con la figura del capitano Conrad ci regala l'ennesima immagine potente, quasi archetipica, destinata ad attraversare: un comandante che suona il violino giorno e notte a bordo.

Il nemico  non è l’uragano, né il vento forte, né l'onda gigantesca. Il nemico non è il freddo. Il nemico è una bonaccia estenuante, con la malaria che si propaga da un marinaio all’altro e una beffa postuma: l’ex capitano, si scopre, ha sostituito il chinino con sale e zucchero. Il nemico è chiuso in un violino che non si trova.
Le isole che sorgono dalla nebbia all'alba, con prospettive diverse, sono sempre le stesse. Lugubri. Il buio fitto che avvolge la nave prima della tempesta è un buio tattile. 
Qui il nemico è la perdita della mente.

Il nuovo capitano e il cuoco sono gli unici a non aver preso la malaria a bordo, ma non sono in forma neanche loro. Il cuoco, che si offre di sostituire il secondo, è malato di cuore. Conrad, il comandante, è assalito da un senso di responsabilità e di colpa soverchianti. Ma non cede a debolezze.
Il non cedere alla tentazione di avvicinarsi alla costa ovest del Golfo del Siam è reso in un modo poco esaltante per un uomo moderno, abituato a dubbiare della sfericità della Terra su post improbabili, figuriamoci ai consigli di un vecchio uomo di mare deceduto, forse pieno d'odio.
Eppure era così che le navi tornavano a casa con il loro carico di beni e di umani: seguendo l’esperienza tramandata, consolidata. Google Earth era ancora inimmaginabile, e le mappe dell’Ammiragliato Britannico non erano quelle di oggi. Conrad non cede a facili scappatoie, crede fermamente nei consigli degli anziani e salva la nave, se stesso e l’equipaggio. Lo fa in uno stile poco intrigante per un lettore moderno, abituato a enfasi populiste e a almeno due turning point.
Ma forse i critici ce l’hanno raccontata male, questa ‘Linea d’ombra’ dove l'alternativa temuta non era il naufragio, ma la perdita della lucidità davanti a una scelta.

C'è chi lo considera il miglior racconto di Conrad.
Ma quanto è strano il suo tentativo postumo di scacciare il sovrannaturale dal suo scritto? 
Non era lui il capitano che al suo primo incarico di comando ha portato la nave in porto lottando contro presagi e malauguri e situazioni infauste?
Una sorta di iniziazione, quindi, c'è tutta. 
Che scacciare il divino sia stato un atto di modestia?
Forse sì. 
Dar forza al sovrannaturale avrebbe fatto di lui una persona in contatto con le divinità. Conrad, invece, vuole essere un uomo coi piedi piantati sulla coperta, dubbioso e fallace sì, ma paziente, col suo codice d’onore in piedi, lontano dal sotterfugio letterario, pulito da ogni profetismo, da ogni facile trucco, da ogni inganno della suggestione.



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