sabato 10 settembre 2016

Norwegian Wood - Haruki Murakami





Dopo averlo letto non ascolterai mai più quella canzone con le stesse orecchie, con lo stesso stato d'animo. 

Il ricordo assale l'io narrante mentre ascolta una versione orchestrale 'piuttosto annacquata' di Norwegian Wood dagli altoparlanti nella cabina di un 747 in quel momento strano subito dopo l'atterraggio con l'aereo ancora in movimento quando tutti si alzano per trafficare nelle cappelliere:


"...rimasi tutto il tempo in quel prato. Assaporavo il profumo dell'erba, sentivo il vento sulla pelle e i gridi degli uccelli."

Inizia in quella cabina di 747 un viaggio a ritroso nelle 'emozioni che non si possono rivivere'. Un viaggio verso la memoria che inevitabilmente si corrompe, inizia da immagini e sensazioni di un uomo di trentasette anni che si è ormai è allontanato da quel ragazzo che era a diciannove, un ragazzo che aveva giurato alla sua Anoko di non dimenticare mai il suo volto.

Il romanzo evita di dirci cosa o chi è diventato 'quel diciannovenne' sprofondato nei silenzi, perso dietro una ragazza tra una stazione e l'altra della metropolitana di Tokyo, non ci fornisce elementi per paragonare le due persone. Del trentasettenne sappiamo solo che la nostalgia lo assale con violenza nell'ascoltare Norwegian Wood. L'assale ancora nel vedere un tramonto a Santa Fè.

I luoghi e la situazioni, dalla cabina telefonica al funerale, sono palcoscenici di un profondo malessere che rasenta la crisi di panico. Un panico continuo verso il mondo esterno, che come ci insegna la moderna psicologia, trova le sue radici nella mancanza di punti fermi. Quasi privo di trama come Fiesta, in questo romanzo outsider i personaggi scivolano su un filo esistenziale esile, teso tra le sensazioni, le stazioni e i bar (e la musica che esce dai bar) di Shinjuku, di Shibuya, sullo Shinkansen per Kyoto, i bento, gli ottimi whisky giapponesi. In Norwegian Wood si beve come in un romanzo di Hemingway. Mai pedante, Murakami esplora la vita, il banale e i sensi come farebbe un Henry Miller nei suoi 'Tropici', ma con uno stile fresco, minimale.

I titoli dei brani meticolosamente segnalati nel testo non sembrano voler integrare la narrazione con una colonna sonora, sembrano invece pretendere stessa dignità e stessa forza evocativa delle altre sensazioni come gli odori, i colori, sempre presenti. La musica ci ricorda un contesto inalienabile. Forse, anche se spero di no, ci dimenticheremo degli Oasis, ma mai dei Brahms e dei Beatles.

Drammatico, toccante, struggente. Eppure vitale, brillante, vivido, leggero. Norwegian Wood è uno di quei libri che non ti lasciano andare, che non ti consentono facilmente di rimanere la stessa persona dopo averlo letto. I sentimenti, l'alienazione, la morte, il senso di estraneità verso il mondo sono il tessuto di un romanzo che, almeno a me, sembra molto di più un 'romanzo di formazione', come è stato definito. Attraversare dubbi, esperienze sessuali e traumi non basta per definirci giovani o in fase di apprendimento, di elaborazione. Siamo tutti impreparati davanti agli imprevisti della vita, davanti alla morte, davanti alla perdita della mente. E il vuoto non ci insegna nulla, a nessuna fascia di età. L'incipit potente ed il finale sfacciatamente aperto - ma da vertigine dell'anima - da soli gli meriterebbero il Nobel.

Capolavoro.

Controindicazioni:
Da evitare se si è depressi o in un momento particolare di stress. Malgrado la sua delicatezza e una certa indolenza del carattere principale Norwegian Wood può scuotere fino alle radici.

x

Se ti piace cosa leggo o cosa ne penso, c’è già una piccola probabilità che ti piaccia cosa scrivo.

Qui trovi i miei lavori


Nessun commento:

Posta un commento